venerdì 6 agosto 2010

giovedì 15 luglio 2010

GUADAGNARE CON IL DROP SHIPPING













GUADAGNARE CON IL DROPSHIPPING:

Il Drop Shipping ottimo strumento per guadagnare in rete ed essere sicuri davvero di riuscirci

Oggi vogliamo parlarvi del Drop Shipping una pratica poco conosciuta in Italia, ma che potrebbe fruttare un bel po’ di soldini se fatta con impegno.

In pratica il Drop Shipping cos’è ?

E’ una vendita di oggetti, generalmente on line, sia beni piccoli come : profumi, occhiali da sole, cd, maglie oppure delle vere e proprie vendite di interi lotti di prodotti come decoder, televisioni e così via, unico particolare, non bisogna acquistare merce e quindi investire un capitale, ma semplicemente collaborare con qualcuno.

Il Drop Shipping funziona così :



Prevede tre individui : Fornitore, Drop Shippers, Acquirente Finale.

Il fornitore mette a disposizione del drop shipper, oggetti che propone per la vendita, con un prezzo inferiore di quello dell’utente finale.

Il Drop Shippers si impegnerà a vendere i prodotti disponibili nel magazzino del fornitore, magari con strumenti come Ebay, e-commerce o siti di vendita oggetti come subito.it, suqui.it e simili, ad un prezzo superiore facendo in modo da guadagnare una piccola somma per sé ed il restante andrà al fornitore per pagargli la merce.

A questo punto il prezzo del prodotto sarà incluso di spese di spedizione e quindi il drop shipper dovrà semplicemente incassare il suo guadagno, lasciando al fornitore il compito di spedire la merce direttamente all’utente finale.

Alcuni fornitori preferiscono fornire vari tipi di spedizione e quindi bisogna decidere alla fine il tipo di spedizione e di conseguenza è applicata la tariffa di spedizione, altri invece, danno al drop shipper un prezzo già incluso di spese di spedizione, offrendo come metodo corriere espresso.

Insomma una vera e propria “cuccagna” calcolando che in tutto ciò il drop shipper dovrà semplicemente guadagnare senza muovere un dito, anzi dovrà solo muovere le dita !

Infatti, con un lavoro ben studiato su Ebay, potrete crearvi un magazzino con tutti i prodotti con relative descrizioni e di lì iniziare a guadagnare semplicemente vendendo prodotti che nemmeno vedrete da vicino.

Ad oggi in Italia conosciamo un unico sito che offre il drop ship con relativi corsi di formazione e si tratta di Bazarissimo.com il creatore di questo network ha iniziato la sua attività dal nulla per poi finire ad oggi ad avere un’attività tutta sua.

Questo secondo noi è un ottimo modo per guadagnare on line, davvero e non con le solite promesse dei soldi regalati !

fonte: http://geekitaly.com


mercoledì 14 luglio 2010

COME INVESTIRE IN ORO













COME INVESTIRE IN ORO:

Perchè investire in oro:

I motivi per cui si investe in oro sono rimasti gli stessi nel corso della storia:

* Riserva di valore nel tempo;
* Bene rifugio;
* Alta liquidità;
* Diversificazione.

Quotazione oro


L’oro fu utilizzato come “riserva monetaria” e ha svolse funzione di denaro

* è portabile e divisibile. Il suo peso determina facilmente il valore dell’oggetto;
* è indistruttibile;
* è facilmente riconoscibile ed accettabile in forma di pagamento.

Sia in tempi di crisi che in tempi di prosperità l’oro resiste. La ciclicità del mercato è un fatto storico ed appurato, ma l’oro riesce a mantenere il proprio valore nel tempo. Per contro, molte valute (compreso il dollaro U.S.A.) e le materie prime industriali hanno di solito perso valore. Questo perché l’oro è spesso acquistato per coprirsi dai rischi di inflazione e dalla fluttuazione delle valute e anche perché molti investitori in tutto il mondo vedono l’oro come bene rifugio da ultima spiaggia, parte importante e sicura del loro portafoglio investimenti. L ’oro ha mantenuto il proprio valore rispetto al tasso d’inflazione americano negli ultimi 200 anni.
In altre parole, il valore dell’oro - ovvero ciò che si può acquistare in merci o servizi - è rimasto piuttosto stabile nel tempo. Per esempio, un abito da uomo nel 16mo secolo in Inghilterra al tempo di Re Enrico VIII costava l’equivalente di un’oncia d’oro, prezzo che si può pagare anche adesso per un abito moderno.


Bene rifugio

L’oro è conosciuto come bene rifugio. Nella storia, le valute nazionali hanno avuto notevoli oscillazioni mentre l’oro è rimasto piuttosto stabile. Non è direttamente influenzato dalle politiche economiche di ogni singolo paese e non può essere ripudiato o “congelato” come nel caso di alcuni beni cartacei. Per queste ragioni, un quarto di tutto l’oro esistente è detenuto dai governi, banche centrali o altre istituzioni ufficiali sotto forma di riserve monetarie internazionali. Nulla ci suggerisce che la capacità dell’oro di mantenere inalterato nel tempo il suo valore cambierà nel futuro, anche se da qualche tempo, valute come il dollaro U.S.A. ed il Franco Svizzero sono divenute sempre più appetibili beni rifugio.

Alta liquidità

L’oro è uno tra i beni economici mondiali maggiormente “liquidi”. Può essere prontamente venduto 24 ore su 24 in uno o più mercati in tutto il mondo. Questo non può essere detto per altri tipi d’investimento includendo titoli od azioni delle maggiori società o enti mondiali. In più le commissioni di compravendita sull’oro sono comparabili a quelle di azioni ed obbligazioni (titoli considerati liquidi). Infine, il tempo necessario per eseguire operazioni sia sull’oro che su azioni od obbligazioni e praticamente identico.


Patrimonio diversificato

Che il vostro modo di investire sia aggressivo piuttosto che conservatore, l’oro può giocare un ruolo importante diversificando il portafoglio. Per questa ragione, molti investitori sono spinti ad investire parte del loro portafoglio in oro. Siccome gran parte dei portafogli sono composti per larga parte da azioni ed obbligazioni, aggiungendo oro si diversifica notevolmente. La diversificazione del portafoglio nasce dall’esigenza di protezione contro le fluttuazioni del valore di ciascun settore d’investimento. L’oro fa proprio questo. La caratteristica dell’oro di essere un ottimo “diversificatore” è dovuta dalla sua limitata correlazione con l’andamento delle azioni ed obbligazioni. Le forze economiche che determinano il prezzo dell’oro sono differenti, ed in molti casi contrarie a quelle che determinano i prezzi di altri beni. Ad esempio il prezzo di un’azione dipende dalle voci di potenziali crescite della compagnia che rappresentano; dall’altro lato il prezzo di un’obbligazione nasce dalla stabilità della società, dal rendimento dei fondi investiti. Il prezzo dell’oro, dipende da diversi fattori come la domanda e l’offerta, l’andamento del dollaro U.S.A., il tasso d’inflazione ed i tassi d’interesse. Mentre l’effetto di questi fattori sull’oro sono alquanto complessi, il punto fondamentale da ricordare è che questi elementi fanno muovere il prezzo dell’oro indipendentemente dal prezzo degli altri beni in portafoglio.
L’oro è il solo bene che è “negativamente correlato” con gli altri settori d’investimento. Dunque, il suo prezzo si muove generalmente nella direzione opposta rispetto agli altri beni come il mercato azionario americano, buoni del Tesoro ed obbligazioni. Fonte: World Gold Council


Oro da investimento

In questi periodi di globalizzazione totale, new-economy, e trading on-line, è avvenuta una rivoluzione in Italia nel settore degli investimenti finanziari di notevole importanza, alla quale i mass media non hanno dato il risalto dovuto. Dal febbraio 2000, infatti, a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 7/2000 è stato abolito il monopolio sull’oro che ha permesso finalmente anche ai risparmiatori privati di acquistare monete e lingotti di oro fino in esenzione da I.V.A.! Fino a quel momento, il “bene rifugio” per eccellenza, era considerato dagli investitori come un miraggio, simbolo di ricchezza e benessere. Oggi non è più così, chiunque avrà la possibilità di poter entrare con facilità in possesso di oro puro, bene che ha mantenuto intatto nei secoli il proprio valore.
La Legge n. 7/2000, ha affidato il commercio di oro da investimento a società con determinati requisiti.

fonte: www.numismatica.it


martedì 13 luglio 2010

GUADAGNARE CON IL PETROLIO













dall'espresso di venerdi 15 settembre 2000
ORO NERO / L'AUTUNNO CALDO
Chi fa i soldi col petrolio alle stelle.
Da una parte all'altra dell'oceano è emergenza.
Ma la tempesta dei prezzi sta facendo la fortuna
di speculatori, brokers, armatori di navi cisterna,
fondi d'investimento, società grandi e piccole di
intermediazione... Fra colpi bassi e mitiche
stangate
di Maurizio Maggi

I paesi produttori, ovviamente. E poi i brokers,
quelli che di mestiere trovano le navi per
trasportare i carichi di petrolio, e gli armatori
delle cisterne che solcano i mari gonfie di oro
nero. E ancora i traders, che comprano da chi
produce e vendono a chi raffina o ad altri traders,
e i grandi fondi d'investimento attivi sul settore
energetico. Infine, i governi, specie quelli europei
che sui derivati del petrolio con le tasse ci vanno
pesanti. Ecco chi, nell'estate 2000 infuocata del
petrolio, guadagna mentre tutti gli altri - dagli
industriali agli automobilisti - maledicono il
caro-energia scatenato dai rialzi dei prezzi
petroliferi.

Interpellato da "La Stampa", il presidente
dell'Eni, Gian Maria Gros-Pietro, ha puntato il
dito contro «gli operatori che comprano il carico
delle petroliere e le lasciano in balìa delle onde in
attesa di margini di guadagno più alti»,
sottolineando come su alcuni prodotti come il
West Texas Intermediate o il Brent del Mare del
Nord, i contratti futures, cioè di acquisto a
termine, sono di decine di volte. Secondo
Gros-Pietro, insomma, i "cattivi" non sono i
paesi produttori o le compagnie, come la stessa
Eni, che pure migliorano decisamente i loro conti
grazie al caro-greggio. No, secondo il capo di
uno dei più grandi gruppi petroliferi del mondo, i
cattivi sono loro: i traders, che in Italia vengono
chiamati "noleggiatori", e forse anche i brokers,
che dalle nostre parti si definiscono più
prosaicamente "mediatori marittimi". Secondo
altri osservatori, un ruolo decisivo lo sta
interpretando pure il Nymex, il New York
Mercantile Exchange, dove si scambiano
mediamente 220 milioni di barili di petrolio al
giorno, pari a tre volte l'intera produzione
mondiale e a nove volte quella dei paesi
dell'Opec. Una Borsa in cui, accanto agli
operatori delle grandi banche internazionali, come
Goldman Sachs e Merrill Lynch, sono attivi
anche piccoli traders chiamati "locals". Il loro
guadagno è piccolo, pochi cents al barile: però in
fasi di instabilità del mercato il ritmo degli scambi
si fa frenetico (si è arrivati a 160 mila contratti
quotidiani) e aumentano le possibilità di fare utili.

Delle "categorie" sopraelencate e capaci, in
misura diversa, di influenzare il prezzo del
greggio, quelle dei traders e dei brokers sono
sicuramente le meno conosciute fuori dalla stretta
cerchia degli addetti ai lavori. Società come la
svizzera Glencore, l'inglese Arcadia (che fa capo
ai giapponesi della Mitsui), l'anglo-olandese Vitol,
guidata dall'imperturbabile Ian Taylor, che ha
studiato a Eton, in effetti, dicono poco al grande
pubblico. Così come è relativamente poco noto
il nome di Marc Rich: 62 anni, americano, vive e
lavora a Zug, la località svizzera che è una delle
capitali del trading petrolifero. Rich, che ha avuto
anche un ufficio a Milano, in via Marina, è da
molto tempo in cima alla lista nera del fisco degli
Stati Uniti, che negli anni Ottanta mise una taglia
di 500 mila dollari sulla sua testa, accusandolo di
colossali evasioni di tasse. Due delle più
importanti trading companies di greggio,
Glencore e Trafigura, sono sorte sulle ceneri del
suo impero. Rich è tornato in campo da qualche
anno con la Mri, la Marc Rich Investments di
Zug, e la sua stella è tornata a brillare: anche se
non è più il leader indiscusso, continua a godere
della riconoscente ammirazione di tutti i suoi
concorrenti ed epigoni. «Perché è lui il migliore e
ha insegnato il mestiere a tutti», riconosce un
trader, in incognito, da Londra.

Il Maradona dei traders

La sua carriera sembra il copione di un film di
007, dove interpreta sempre la parte del cattivo.
Rich ha fatto grandi affari con l'ex dittatore
nigeriano Sani Abacha, il generale che aveva
accumulato una enorme fortuna personale in
Svizzera a colpi di tangenti e, praticamente da
latitante, ha finanziato la scalata alla Kaiser
Alluminium. Prima che il Sudafrica abbandonasse
l'apartheid, è stato tra i registi dell'aggiramento
dell'embargo petrolifero ai danni di Pretoria.
Stesso copione in Iran, dove ha comprato
petrolio a prezzo scontato durante la crisi degli
ostaggi americani. E non si è tirato indietro
neppure quando si è trattato di dare una mano
alla Russia post-comunista: l'ex ministro russo
del Commercio, Oleg Davydov, ha recentemente
dichiarato a "Forbes" che «truffatori come Marc
Rich ci hanno insegnato a esportare danaro nelle
società off-shore». Morale: il Maradona dei
traders, la cui ex moglie è generosa sponsor del
partito democratico, è considerato dalle autorità
del suo paese alla stregua di un pericolo
pubblico.

Traders e brokers, che spesso hanno la loro sede
legale in paesi fiscalmente molto
accondiscendenti, non amano affatto apparire.
Dice David Fransen, che è stato addetto stampa
di Crown Commodities a Ginevra: «Sfuggono la
pubblicità come la peste bubbonica». Un
gentilissimo trader genovese, ospitandoci nel suo
piccolo ufficio al centro di Genova, in un bel
palazzotto d'epoca, spiega: «Sappiamo da chi
comprare e a chi vendere, e chi è del campo ci
conosce. La pubblicità non serve». L'anonimo
interlocutore nega che il trading sia in grado di
influenzare effettivamente i prezzi della materia
prima. Anche se ogni tanto qualcuno tenta il
colpaccio e le quotazioni ne risentono, magari
soltanto per un breve periodo.

Il colpaccio in gergo si chiama "squeeze", cioè
"spremere il mercato". E, guarda caso, proprio in
questi giorni di fibrillazione planetaria intorno
all'oro nero c'è qualcuno che lo squeeze lo ha
messo a segno. Arcadia e Glencore, che
sapevano che a settembre dai giacimenti di Brent
(il tipo di greggio che viene utilizzato come indice
per il petrolio che finisce in Europa) del Mare del
Nord, soggetti a manutenzione, sarebbero usciti
22 carichi invece degli abituali 32 o 33, hanno
fatto incetta acquistando carichi fisici di Brent.
Così sono riu-sciti a venderlo con un premio di 3
dollari rispetto alla quotazione ufficiale. Tosco,
importante raffinatore americano, ha denunciato
l'operazione all'Antitrust, accusando i due traders
e altri operatori di aver barato. La replica: tutti
potevano sapere quel che sarebbe successo nel
Mare del Nord, tutti potevano immaginare che,
visto che la domanda cresceva, il prezzo del
Brent di settembre sarebbe cresciuto.

E la nave va

Chi si sta avvantaggiando apertamente del forte
incremento della domanda, senza bisogno di
particolari tecnicismi finanziari, sono però
brokers e armatori. C'è penuria di navi
cisterniere, in giro, anche perché dopo il
naufragio di Erika, la nave che ha inondato le
coste atlantiche francesi di olio combustibile nel
dicembre scorso, molte compagnie sono
diventate più attente nell'affidare i loro carichi.
Molte carrette del mare sono andate in pensione.
I noli, nel giro di un anno, sono raddoppiati e in
alcuni casi anche triplicati. I brokers lavorano a
percentuale sul valore del nolo. Se l'armatore
strappa un bel contratto al traders o alla
compagnia petrolifera, il tradizionale 1,25 per
cento s'ingrossa. Per i mediatori marittimi italiani
il momento è particolarmente buono perché
spendono in lire e incassano in dollari.

Se in Italia la figura del trader è marginale (uno
dei più noti è la Galaxy che opera da
Montecarlo), la pattuglia dei brokers attivi è
ancora consistente e si concentra soprattutto a
Genova, dove lavorano per esempio la Banchero
& Costa, la Burke & Novi, la Ferrotank, la Italia
Tankers e la Sernavimar. Nessuno di loro crede
alle navi che se ne stanno al largo in attesa che il
petrolio salga ancora: con quel che costano i noli
oggi, tener ferma una nave da 80 mila tonnellate
costa 23 mila dollari al giorno. Chi può
permetterselo? A livello internazionale i big del
settore noli sono invece gli inglesi Clarkson,
Gibson, Galbraith, Simpson e la norvegese
Fearnleys. In America, big come Mc Quilling e
Weber.

Una bella rivincita dopo anni di vacche
magrissime se la sono presa gli armatori. Il costo
dei noli per le tratte da cinque giorni nel
Mediterraneo è passato da 60 centesimi a un
dollaro a barile; il viaggio di una petroliera dal
Golfo Persico agli Usa, invece, è salito da 80
centesimi a ben 2 dollari a barile. Tra gli armatori,
un posto al sole se l'è conquistato negli ultimi
anni il norvegese John Frederiksten, che può
contare su una cinquantina di VLCC, Very Large
Crude Carriers, giganti tra le 220 e le 320 mila
mila tonnellate di portata lorda. Di petroliere di
queste dimensioni ce ne sono in giro circa 400.
Nella categoria con portata da circa 140 mila
tonnellate, il leader è la Alliance, joint-venture tra
lo stesso Frederiksten e la Omi, con una trentina
di navi costruite dopo il 1990. Tutti i grandi
trasportatori di petrolio quotati in Borsa hanno
visto schizzare in su le loro azioni negli ultimi
mesi. È successo anche alla Premuda e alla
Navigazione Montanari, le uniche società
armatoriali presenti in Piazza degli Affari. Le
azioni Navigazione Montanari sono salite del 56
per cento da aprile, e dall'inizio dell'anno i titoli
della Premuda di Alcide Rosina (che sta facendo
costruire altre due nuove petroliere in Corea)
sono più che raddoppiati. Un'accelerazione da
new economy per un business che più old non si
può.


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